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Pensioni: quota 100. Ennesima proposta palliativa e miope

| 29 Marzo 2018 | ATTUALITÀ, ECONOMIA, POLITICA

Ancora una volta ritorna imperante sulla scena politica e sociale il tema delle pensioni, argomento che negli ultimi anni ha visto accendere gli animi di molti.

Non si può nascondere che il voto espresso da molti italiani, il 4 marzo scorso, ha riguardato anche la tematica delle pensioni e non solo quella delle tasse e del reddito di cittadinanza. I partiti che hanno avuto la meglio nella competizione elettorale hanno promesso il superamento della riforma Fornero varata dal governo Monti, una riforma a detta di molti, necessaria per l’Italia e che tiene conto della sostenibilità dei conti pubblici e del fondo INPS.

Questa ormai famosa riforma, fa risparmiare 40 miliardi di euro annui che, come può ben intuire chi ha un minimo di familiarità con i conti pubblici, sono una cifra cospicua. Purtroppo le condizioni demografiche, i problemi della natalità e del mercato del lavoro hanno imposto una riforma “lacrime e sangue” per salvaguardare, per quanto si possa fare, il futuro di molti giovani che altrimenti quasi sicuramente non avrebbero potuto beneficiare della pensione facendo venir meno quel patto intragenerazionale fondamentale per uno stato sociale come l’Italia.

La riforma del governo Monti, come ha più volte anche sottolineato la stessa professoressa Fornero, ha dei limiti ed ha creato una frattura sociale evidente agli occhi di molti. È necessario superare o meglio migliorare questo intervento legislativo cercando di sanare le ferite che consciamente o inconsciamente questa riforma ha provocato.

Il problema che ci tocca da vicino è cosa propongono i “vincitori” per poter superare questa benedetta riforma?

Come si legge dai programmi elettorali dei 5 stelle e del centrodestra, il sentore è che stiamo per imbatterci in un nuovo modo di calcolare il momento cruciale dell’uscita dal mercato del lavoro come pensionati e cioè l’introduzione della famigerata QUOTA 100.

Con il sistema della quota 100, chi vorrà andare in pensione dovrà far i conti con due condizioni la cui somma numerica deve necessariamente essere uguale a 100. Stiamo parlando degli anni di contributi versati e dell’età anagrafica. Volendo fare un esempio un operaio che ha lavorato 41 anni consecutivamente per poter raggiungere la quota 100 e quindi finalmente andare in pensione dovrà avere una età di 59 anni. Detta cosi ci sembra una proposta meravigliosa ma come ogni intervento legislativo miope verso la struttura produttiva che si sta affermando di qui in avanti, non tiene conto della realtà delle cose.

Purtroppo la maggior parte di coloro che nei prossimi anni si troverà sulla soglia della pensione, non ha accumulato 41 anni di contributi a causa della crisi economica iniziata nel 2008 e che dopo una minima ripresa è tornata a farsi sentire dal 2011 in poi, provocando una forte discontinuità lavorativa.

Questo significa che chi ha accumulato, per esempio, 30 anni di contributi ed oggi ha 60 anni, con la quota 100 si ritroverà ad andare in pensione a 70 anni e da qui si può facilmente capire quanto questa proposta in realtà non risolva i problemi tuttora esistenti. Molti si ritroveranno ad un certo punto della vita, senza lavoro e senza pensione.

Parlando dei giovani, invece, è facilmente intuibile che il sempre più tardo ingresso nel mercato del lavoro e la forte flessibilità dello stesso con la conseguente discontinuità contributiva, renderà fortemente improbabile se non addirittura impossibile, il raggiungimento della quota 100.

Chiedo ai lettori una forte riflessione su questa tematica e chiedo alla politica soluzioni realistiche e strutturali e non solo palliative e miopi.

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