Nessuno ne parla eppure la guerra c’è ancora. I soldati sono ancora là, schierati lungo la linea del fronte. Di tanto in tanto la quiete della giornata viene bruscamente interrotta da una raffica di mitragliatrice o da colpi di mortaio. A volte ci scappa pure il morto, spesso civili innocenti che hanno avuto la sfortuna di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Eppure nessuno ne parla, i mass media da tempo hanno volto la loro attenzione altrove. Verrebbe da pensare che questo silenzio sia dovuto al fatto che si tratta di una delle tante guerre combattute in Medio Oriente, oppure dell’ennesimo conflitto tribale che quotidianamente miete vittime in chissà quale angolo sperduto dell’Africa, insomma un silenzio giustificato dalla lontananza, geografica e culturale, del fronte di guerra. E invece no. La guerra dimenticata viene combattuta in casa nostra, in Europa, appena al di là dei confini dell’Unione Europea.
La guerra del Donbass è in corso da più di tre anni e mezzo. Il conflitto scoppiò nell’aprile 2014 quando i separatisti filo-russi delle oblast (province) di Donetsk e Luhansk, le più orientali dell’Ucraina e a maggioranza russofona, occuparono gli edifici dell’amministrazione pubblica in segno di protesta contro il governo ucraino filo-occidentale. L’intenzione dei separatisti era quella di organizzare un referendum sull’indipendenza e magari un giorno venire annessi alla Russia. L’11 maggio 2014 si tiene il referendum e la volontà secessionista vince. I separatisti proclamano le repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk che però non vengono riconosciute dal governo ucraino che definisce “terroristi” i separatisti e manda l’esercito nel Donbass. A quel punto scoppia la guerra. Gli scontri furono da subito molto aspri e violenti, la popolazione civile venne violentemente investita dagli orrori della guerra. I separatisti vengono aiutati economicamente e militarmente dalla Russia che attraverso il confine, ora controllato dai separatisti, fa passare mezzi ed equipaggiamenti militari ma anche convogli umanitari per aiutare i civili. Centinaia di migliaia di civili infatti fuggirono in Russia mentre il numero totale degli sfollati si aggira intorno ai due milioni. La Russia non si limita a fornire solo materiali militari ma alcune unità delle forze armate prendono parte attivamente nel conflitto rinforzando le file dei separatisti. Il 25 agosto 2014 i servizi segreti ucraini annunciarono di aver catturato un gruppo di paracadutisti russi rilasciando le loro foto e i loro nomi. Due giorni dopo il generale della Nato Nico Tak affermò che “ben più” di 1000 soldati russi si trovavano nel Donbass, il presidente ucraino Petro Poroshenko allora lanciò l’allarme parlando di “invasione”. Il governo russo ha sempre smentito le accuse di coinvolgimento benché il suo intervento sia stato più volte documentato. Durante quella sanguinosa estate accadde anche un tragico incidente: il 17 luglio il volo di linea MH-17 della Malaysia Airlines decollato da Amsterdam verso Kuala Lumpur fu abbattuto da un missile terra-aria mentre sorvolava le zone di guerra dell’Ucraina orientale. Le vittime furono 298. Secondo le conclusioni preliminari del Joint Investigation Team il missile fu sparato da una zona che all’epoca dei fatti era controllata dai ribelli filo-russi.
Vista la drammaticità degli scontri, le parti coinvolte si impegnarono per raggiungere un’intesa così da porre fine al conflitto. Il 5 settembre 2014 Ucraina, Russia, e i delegati delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhansk, sotto l’egida dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) firmarono il Protocollo di Minsk, un accordo di cessate il fuoco. Purtroppo però le clausole dell’accordo non furono rispettate né dai separatisti né dall’esercito ucraino e la guerra continuò con la stessa intensità di prima. Nel corso dell’autunno scoppiarono nuove sanguinose battaglie, in particolare molto violenti furono gli scontri per il controllo dell’aeroporto di Donetsk. Le vittime della guerra si contavano già nell’ordine delle migliaia e vista la drammaticità della situazione si decise di organizzare un secondo summit a Minsk per raggiungere un altro, più efficace, accordo di cessate il fuoco. Questa volta intervennero anche le cancellerie europee che ebbero un ruolo di mediazione tra le parti. Il Protocollo Minsk II firmato da Russia, Ucraina, Francia e Germania l’11 Febbraio 2015 stabilì i termini del cessate il fuoco e impose il ritiro dell’artiglieria pesante dalle zone limitrofe al fronte, inoltre il rispetto delle condizioni dell’accordo sarebbe stato verificato dai commissari dell’OSCE. Inizialmente il Protocollo Minsk II non fu rispettato perché proprio in quei giorni si stava combattendo un’importante battaglia presso la città di Debalsteve, tuttavia una volta terminato lo scontro l’intensità dei combattimenti diminuì notevolmente senza più tornare ai livelli di violenza del 2014, l’accordo venne però infranto più volte e i combattimenti continuano ancora oggi. A partire da quel momento, ovvero dall’implementazione del Protocollo Minsk II, i media hanno smesso di parlare della guerra del Donbass. Il secondo accordo riuscì finalmente a “raffreddare” l’intensità del conflitto con la conseguente riduzione del numero di vittime, sia civili che militari, ma la guerra non finì siccome separatisti e governo ucraino non siglarono alcun accordo di pace. Quello del Donbass è diventato un “conflitto congelato”: la guerra ufficialmente è ancora in corso ma a parte occasionali scontri a fuoco non vengono più combattute importanti battaglie. Tuttavia la guerra continua ad uccidere: un rapporto delle Nazioni Unite afferma che tra maggio e agosto di quest’anno 26 civili sono stati uccisi mentre altri 135 sono stati feriti.
“La guerra dimenticata d’Europa” come l’ha chiamata la Bbc, è una definizione che ben si addice alla guerra del Donbass. Dopo essere stata per dieci mesi sulle prime pagine di giornali e notiziari, il conflitto è caduto velocemente nel dimenticatoio nonostante i combattimenti fossero ancora in corso. Qualche mese fa la Russia propose alle Nazioni Unite di organizzare una missione di peacekeeping per stabilizzare definitivamente la regione, ad oggi però pochi progressi sono stati fatti. Il futuro del Donbass rimane pericolosamente incerto. C’è una cosa però che questa guerra ci dimostra con chiarezza: che l’Europa al di fuori dell’Unione Europea può ancora essere un teatro di guerra, come lo fu nel caso della Jugoslavia e del Kosovo. È una lezione che dobbiamo sempre tenere a mente, come non dobbiamo mai dimenticare quali furono le motivazioni che ci hanno portato ad intraprendere il lungo processo europeo d’integrazione, e proprio per quelle ragioni non dovremo mai rinnegarlo.