Alla fine il capro espiatorio saluta e se ne va.
Era tutto iniziato quattro anni fa, il giorno in cui Berlusconi veniva allontanato dal Parlamento in ossequio alla legge Severino e reagiva ritirando l’appoggio al governo Letta.
In quel frangente Alfano, con un nutrito gruppo di senatori, sottratti alla disponibilità del cavaliere, decideva di ribellarsi e di mantenere in vita l’unico governo possibile e, con esso, una legislatura appena iniziata.
Da qui a diventare il traditore per antonomasia, l’opportunista, il poltronista cinico e spregiudicato, il passo è stato molto breve: irriso, delegittimato, additato al pubblico disprezzo, lavorato costantemente ai fianchi dai vecchi sodali di FI, non è riuscito ad entrare in sintonia con un Paese esacerbato ed incattivito, che disdegna ogni appello alla moderazione.
La scelta di arrendersi, improvvisa ed annunciata nell’immediata vigilia dello scioglimento delle camere, può essere declinata in vario modo, ma è comunque il segno dei tempi difficili che stiamo vivendo, contraddistinti da intolleranza ed aggressività, da pulsioni scomposte e modalità di confronto non consone ad una democrazia matura.
Si annuncia una campagna elettorale che finirà per destabilizzare ulteriormente il Paese, senza offrire soluzioni praticabili ai tanti problemi che soffocano la nostra speranza di un domani migliore.