La crisi della sinistra europea, attestata inequivocabilmente da una serie ininterrotta di
durissime sconfitte, è sbarcata ufficialmente in Italia.
In tempi di crisi economica e di disagio sociale, per rimanere in sintonia con il comune sentire della gente, occorre dimostrare disponibilità ad ascoltarla con pazienza e scendere dalle cattedre professorali, per sporcarsi le mani con la realtà.
Il PD, strutturalmente, meglio dire geneticamente, non è in grado di farlo: troppa prosopopea autoreferenziale, narcisismo ideologico, presunzione di indispensabilità, arroganza culturale.
La pretesa di Renzi, di utilizzarlo come motore del cambiamento, è andata inesorabilmente ad infrangersi con l’inidoneità dello strumento, assemblato per la conquista e la conservazione del potere, ma incapace di muoversi con agilità nel traffico intenso
della politica italiana.
Rottamare la sua storia di contenitore eterogeneo e malmostoso, senza azzerarne la ragion d’essere, si è rivelata un’impresa velleitaria e ha scatenato anticorpi e reazioni di ogni tipo. Oggi il protagonista, fiaccato da insuccessi, contestazioni e scissioni, deve scegliere se adattarsi ad una ricomposizione dei pezzi del vecchio mosaico, per rimasticare antichi slogan e parole d’ordine della declinante sinistra, o avventurarsi in una sfida incerta e perigliosa.
Tanti italiani che lo hanno sostenuto alle primarie e nel referendum sarebbero pronti a sciogliere le vele e partire per un affascinante viaggio verso una nuova frontiera.