Quando sentiamo le parole trattativa Stato – mafia, pensiamo esclusivamente a quella intervenuta nel 1992 – 1993 per cercare di arginare l’attività stragista di Cosa Nostra.
Non è l’unica trattativa tra Stato e criminalità avvenuta nel nostro bel paese. La prima trattativa si ebbe proprio per l’Unità d’Italia.
Nel 1860, quando Garibaldi sbarco’ in Sicilia, ebbe vita abbastanza facile, grazie all’intervento dei picciotti. I più importanti capi mafia dell’epoca Giuseppe Coppola, i Miceli di Alcamo, Santo Mele e Giovanni Corrao, accorsero in aiuto di Garibaldi.
Corrao divenne anche generale garibaldino e venne ucciso nel 1883, in un aqguato di stampo mafioso. Con il contributo dato all’Unità d’Italia, funzionale per gli scopi della criminalità organizzata di allora, la mafia esce allo scoperto. Trattative con lo Stato che partono da allora e giungono sino ai giorni nostri.
Dall’uccisione del Generale Corrao, ai pugnalatori di Palermo, all’uccisione di Notarbartolo, passando per il periodo fascista, alla strage di Portella della Ginestra fino ad arrivare alle stragi di Capaci e Via d’Amelio. Un filo conduttore di trattative accompagnate dal sacrificio di tanti servitori dello Stato immolati in nome della pax Stato – mafia.
Subdoli accordi nei quali i servizi segreti deviati, dal dopoguerra in avanti, hanno da sempre avuto un ruolo fondamentale.
Negli ultimi anni, dopo le stragi, i servizi segreti utilizzano un protocollo che esclude qualsiasi intervento da parte della magistratura: il protocollo Farfalla. Gli 007 italiani hanno la possibilità di visionare una quantità enorme di informazioni e di agire senza alcun controllo da parte delle istituzioni, interloquendo direttamente con i condannati al 41 bis per trattare, in ogni modo, offrendo loro denaro o la possibilità di modificare il loro status di carcerazione.
Hanno il potere di oltrepassare qualsiasi procedura del sistema penale e carcerario italiano. Un rapporto illecito direttamente con i boss per condizionare e deviare le loro deposizioni durante i procedimenti penali, affinchè tacciano sul reale coinvolgimento dello Stato italiano in molti delitti eccellenti, oppure ottenere informazioni dietro lauti compensi.
E’ quello che è accaduto per anni con il presunto pentito Scarantino, imbeccato dai servizi, su quanto doveva dichiarare in merito alla strage di Via d’Amelio. La trattativa ultima parte, avviene nel gennaio scorso, quando di punto in bianco, Toto’ Riina decide di voler parlare con i giudici in merito alla trattativa del 1992-1993.
Anzi no! Pochi giorni prima della sua deposizione decide di non parlare più. Il suo balletto parlo, non parlo, termina con il tentativo di far tornare a casa il “capo dei capi” a causa delle sue gravi condizioni di salute. Per potergli concedere una morte dignitosa. Dignità che purtroppo non hanno potuto avere tutte le sue vittime.
Tentativo fallito. Ma in realtà dietro la tarantella “parlo, no taccio, forse esco”, c’era ben altro. Uno scambio tra lui e Matteo Messina Denaro. Riina, seppur malato e al 41 bis, è ancora un capo che avrebbe potuto dare indicazioni rilevanti per catturare il latitante.
Una situazione simile è avvenuta anche tra Provenzano e Riina, difatti Provenzano ha goduto della protezione dello Stato per molto tempo, dandogli anche la possibilità di essere operato a Marsiglia sotto falso nome.
Questa è l’ennesima trattativa che lo Stato o meglio, il Protocollo Farfalla ha tentato di portare a termine. Le operazioni messe in atto dai servizi segreti, deviati o meno, in nome del silenzio istituzionale, difficilmente permetteranno di conoscere la verità sulle stragi di mafia.
Qui non serve un pentito di Stato, ma un pentito dei servizi che sappia molto al riguardo del protocollo Farfalla.