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A cavallo della democrazia

| 2 Ottobre 2017 | EDITORIALE

La rivalità storica, oltre alle cronache calcistiche, tra Madrid e Barcellona sono legate da una profonda distanza politico-culturale che divide la Catalogna dalla Spagna regale, ma sopratutto dalla volontà indipendentista che risale dalla fine del XIX secolo dove un movimento politico nazionalista catalano rivendicò, inizialmente, una autonomia regionale per passare poi ad una radicale indipendenza. Prepotente, se così possiamo definirla, la risposta di Madrid alla quale il solo riconoscimento di capitale e di Stato, compresa la terra catalana, avventa la sua democrazia sui manganelli della polizia.

In barba a quelle democrazie che si limitano solo ad evitare che certi concetti, pensieri o azioni, contrastino il buono stato di conservazione della vita politica di potere; la democrazia, questa parola sempre meno espressa nella sua reale forma, spesso viene collocata ad ottemperare circostanze di rito e niente più. Ed ecco che ti trovi lo spettro del franchismo, epoca assai lontana, che rivaluta l’estremismo della supremazia di Madrid sulla volontà popolare. Quella volontà che non trova, ancora una volta, legittimità da parte dello Stato che dovrebbe essere il primo garante della democrazia.

Allora viene da pensare: in che modo si può ridurre questo divario democratico esistenziale che regna tra il popolo e uno Stato? La via più breve sarebbe quello rivoluzionario, quella rivoluzione popolare che permetterebbe lo spodestamento del potere al centro, da sempre, di discussioni politiche, sociali ed economiche. Un calvario collettivo che, per esempio, l’Italia non rischia di correre anche perché non ha mai conosciuto rivoluzione… Anzi la ribellione non è pervenuta nemmeno quando il potere politico ha convertito lo Stato Sovrano in uno Stato Prioritario. Praticamente una forzatura dettata dall’espressionismo europeista che, guarda caso, sulla questione catalana ha preferito che Madrid si lavasse i suoi panni sporchi.

Ma nonostante tutto l’indipendenza sia una priorità per il presidente della regione catalana Charles Puigdemont, bisogna sottolineare che la causa non ha sedotto del tutto la maggior parte della sua popolazione. Di recente l’idea di indipendentismo ha raccolto maggiori consensi; visto il contesto di crisi sociale diffusa in Spagna come in Catalogna, tuttavia, è lecito domandarsi se esso non sia uno specchietto per le allodole per distrarre i cittadini dai problemi più urgenti del Paese. Anche per questo l’attenzione non deve assolutamente palesarsi all’idea che la rivoluzione catalana sia di insegnamento a quella leghista, si potrebbe rischiare di cadere nella demagogia totalitaria e nell’ignoranza storico-culturale. Resta il fatto che la democrazia è ben altra cosa.

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