Maggio 1982: il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, uomo esperto che ha combattuto le brigate rosse, viene inviato a Palermo per combattere Cosa Nostra. Gli inizi degli anni ’80 corrispondono all’esplosione della seconda guerra di mafia tra i Corleonesi da una parte e Badalamenti-Bontate-Inzerillo dall’altra.
Il Generale era stato già due volte in Sicilia. La prima volta nel 1949 per le indagini sull’omicidio di Placido Rizzotto indicando tra i colpevoli Luciano Liggio. La seconda volta, tra il 1966 e il 1971, in qualità di comandante della legione dei Carabinieri di Palermo; periodo in cui vi fu la strage di Viale Lazio con l’uccisione del boss Michele Cavataio. Nel 1982 viene inviato in Sicilia con la carica di Prefetto con la promessa, da parte del Ministro Rognoni, di assolvere l’incarico con poteri straordinari per contrastare Cosa Nostra.
Giunto a Palermo, il Generale si rende conto che gli uomini e i mezzi sono solo sbandierati a parole e, nonostante le sue continue richieste, la situazione non cambia. Aveva compreso che la lotta a Cosa Nostra doveva essere condotta per strada, nei quartieri, con la presenza massiccia delle Forze dell’Ordine giungendo alla conclusione che, la seconda guerra di mafia, non era esclusivamente una questione palermitana ma che coinvolgeva gran parte dell’isola soprattutto Catania. Durante la sua permanenza in Sicilia verrà deposita in Procura il rapporto dei 162, la base del maxi processo.
Il Generale Dalla Chiesa, lasciato solo e mandato allo sbaraglio dalla politica, viene ucciso il 3 settembre 1982 insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo, ferito gravemente, morirà il 15 settembre 1982.
La sera dell’omicidio, i soliti ignoti inviati dallo Stato, sequestrano, dall’abitazione del Generale, alcuni importanti documenti. Il pentito Tommaso Buscetta dichiaro che il Generale Dalla Chiesa era a conoscenza di segreti che davano fastidio ad Andreotti. Proprio a colloquio con Andreotti, prima di giungere a Palermo, il Generale Dalla Chiesa, il 5 aprile 1982, disse che non avrebbe avuto riguardo per “la famiglia politica più inquinata del luogo”. La famiglia politica più inquinata della Sicilia era proprio quella andreottiana; una tale affermazio, molto probabilmente contribuì ha al suo isolamento.
L’invio del Generale in Sicilia è stato un intervento politico di facciata: dare l’impressione di voler contrastare il fenomeno mafioso quando, in realtà, nessuno a Roma aveva l’intenzione di contrastare la criminalità anzi, con essa faceva accordi ed affari. Per l’omicidio del Generale Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo, sono stati condannati come mandanti tutti i boss della cupola. Nel 2002 vengono condannati gli esecutori materiali: Vincenzo Galatolo, Antonino Madonia, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Gangi. Sullo sfondo di questo omicidio è presente quella zona d’ombra dello Stato che aveva tutti gli interessi per eliminare il Generale. Inviarlo in Sicilia senza poteri e senza uomini per farlo uccidere dai compari siciliani è stata l’occasione giusta.
L’8 marzo 2017 a quasi 35 anni dal quel crimine di Stato – Mafia, il Procuratore Scarpinato rivela, in commissione antimafia, di aver saputo da Giuseppe Pennino, medico e uomo d’onore, massone e pentito, che “l’ordine di eliminare Dalla Chiesa era arrivato da Roma dal deputato Francesco Cosentino, legato ad Andreotti”. Il nome di Cosentino compare negli elenchi della P2 di Licio Gelli nel 1981, evidenziato in giallo come pure i nomi di Michele Sindona, Roberto Calvi e Silvio Berlusconi. Ovviamente la verità sui mandanti politici, in questo paese, si vengono a sapere sempre quando i responsabili sono passati a miglior vita.
Sono trascorsi 35 anni e quel senso di rabbia ed ingiustizia è ancora vivo in coloro che apprezzano l’onestà e l’integrità del Generale. Nel suo omicidio, come in molti altri a seguire, la simbiosi mutualistica Stato – Mafia si è coalizzata per eliminare un nemico comune. Omicidio di mafia e di Stato. La sua voglia di voler cambiare le cose ed il suo impegno senza sosta alla lotta contro l’amore criminalità, devono essere ricordati sempre. Ci saranno le solite sfilate politiche nel giorno della commemorazione: il Presideante Grasso, che si sveglia solo in queste occasioni dal suo torpore, dice le sue quattro parole e poi fino al prossimo anno non si fa nulla, a livello istituzionale, per contrastare il fenomeno mafioso poiché tale fenomeno è ben radicato nei gangli della macchina statale.
Antimafia di facciata che apre le porte alla mafia; antimafia che non ha alcun interesse a contrastare in modo definitivo la mafia e la mafiosita’. La vera antimafia è quella delle forze dell’ordine che contrastano per strada, è quella di pochissimi magistrati coraggiosi. Non è certo quella dei Palazzi romani.
Onore al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, uomo onesto e giusto, mandato dallo Stato a morire a Palermo.