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Amato critica il Fiscal Compact (e propone l’Italexit?)

| 12 Luglio 2017 | ECONOMIA, POLITICA

Nonostante siamo ormai rotti a tutte le esperienze, leggere di un giudice costituzionale che, in dispregio della consegna del silenzio, concede un’intervista in cui critica un trattato sottoscritto dal proprio Paese e, per di più, esprime un giudizio di illegittimità costituzionale rispetto a norme a tale trattato ispirate, ci ha provocato un certo stupore.

Giuliano Amato, con la sua uscita sulla parziale illegittimità del nuovo art. 81 della Costituzione, in cui all’epoca del governo Monti fu introdotto il principio del “pareggio di bilancio” in ottemperanza a quanto previsto dal c.d. Fiscal Compact, è entrato a gamba tesa in una polemica politica che, fino ad allora, poteva essere derubricata a boutade estiva. Ma il caldo, a quanto pare, non fa male solo a Boeri.

Ma prendiamo per buone, per un istante, le parole di Amato sul Fiscal Compact e facciamo qualche riflessione (con una avvertenza per chi fosse digiuno di diritto, e cioè che – per quanto suoni strano – anche una norma della Costituzione può essere incostituzionale, ove la stessa si ponga in contrasto con i principi ispiratori della Carta: i primi dodici articoli per esempio, o il suo impianto valoriale generale).

Per prima cosa, va ricordato che l’art. 81 (nella versione modifica dal Fiscal Compact) è già stato sottoposto al vaglio della Corte, la quale ha ritenuto – si veda per esempio la sentenza n. 275 del 2016 – che il principio del “pareggio di bilancio”, se da un lato non può incidere sul contenuto delle garanzie minime necessarie per rendere effettivi i diritti fondamentali delle persone, dall’altro è comunque compatibile col nostro ordinamento. In sostanza, secondo la Corte, è legittimo porre come obiettivo l’equilibrio di bilancio, salvo salvaguardare comunque il rispetto di determinati diritti fondamentali. Si tratta di un tipico “bilanciamento di valori”, non di una declaratoria di incostituzionalità.

Secondariamente, l’introduzione del principio del “pareggio di bilancio” discende direttamente da un trattato internazionale, per di più inserito nel quadro del diritto dell’Unione Europea (come detto, il Fiscal Compact). Si entra, cioè, nel campo minato del rapporto fra ordinamento italiano ed ordinamento comunitario.

Molto schematicamente, si può dire che mentre la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ritiene che vi sia un unico ordinamento giuridico in cui la primazia è assicurata al diritto dell’Unione rispetto all’ordinamento interno (sentenza CGCE, 26 febbraio 2013, C-199/11, Melloni, § 59), la Corte Costituzionale, che pure ha ritenuto le disposizioni dei Trattati e il relativo diritto derivato come assistito da una garanzia costituzionale, rappresentata dall’art. 11 della Costituzione, ha comunque mantenuto ferma la propria ricostruzione duale e posto – come limite invalicabile anche alle disposizioni comunitarie – proprio quello del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento italiano e dei diritti inalienabili della persona umana (i c.d. “controlimiti”).

Addirittura, sembra che di recente la Corte si sia spostata su posizioni ancora più europeiste (cfr. ordinanza n. 24, emessa lo scorso 26 gennaio), nel senso di dare rilievo ai “controlimiti” in tanto in quanto assunti all’interno degli stessi Trattati Europei (art. 4, par. 2, TUE) e, comunque, di ritenere appropriata anche una loro rimodulazione, in senso restrittivo, in vista della superiore istanza dell’omogeneizzazione delle legislazioni degli Stati membri (nel caso di specie, in materia penale).

In questo contesto, le parole di Amato, se interpretate seriamente, sono rivoluzionarie. Infatti, il “pareggio di bilancio” può essere dichiarato costituzionalmente illegittimo soltanto laddove si prenda atto della sua matrice ordoliberista, ontologicamente contrastante – come ben messo in luce da molti studiosi, primo fra tutti Luciano Barra Caracciolo – con il principio lavorista che permea di sé tutta la nostra Costituzione. Se infatti è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3, c. 2), e se tale risultato può essere raggiunto soltanto rendendo effettivo il diritto al lavoro (art. 4, c. 1), è del tutto evidente che non è possibile limitare la spesa statale in deficit ai soli casi di conclamata avversità del ciclo economico (art. 81, cc. 1 e 2).

Ma se le cose stanno così (e stanno così), vuol dire che siamo già fuori dal sistema istituzionale dell’Unione Europea, i cui Trattati – quanto meno a partire dal 1992 e soprattutto con l’adozione dell’Euro – hanno ribaltato il rapporto fra diritti sociali e programmazione macroeconomica (alla perdita di competitività si deve risponde con “le Riforme”, cioè con la svalutazione interna) ed hanno spezzato il vincolo tra sovranità popolare e discrezionalità tecnico-amministrativa. Asserire che la BCE è indipendente significa ritenere che essa non debba rispondere ad alcuna istituzione democratica, che debba agire – nella sfera delle sue attribuzioni – da sovrano assoluto (cioè ab-solutus, libero da qualsiasi vincolo).

Ma se le cose stanno così (e stanno così), vuol dire che non solo il Fiscal Compact, ma l’Unione Monetaria e l’Unione Bancaria nel loro complesso si reggono su presupposti incompatibili con la nostra Costituzione e che, dunque, se l’Euro è insostenibile il bail-in (per dirne una) è radicalmente illegittimo. Non a caso si è detto che da Maastricht in poi “il rapporto ‘costituzionale’ tra tutela del risparmio e stabilità dei prezzi è mutato, innalzando [illegittimamente, N.d.R.] la seconda al livello della prima” (Sarcinelli), mentre la protezione del risparmio è scaduta a livello di protezione del risparmiatore, tramite strumenti regolamentari del comportamento degli operatori basati sull’opinione “che le crisi sistemiche siano storicamente imputabili ad eventi originariamente di natura microeconomica” (Zatti).

Questa situazione è stata recentemente indicata da De Grauwe in un articolo apparso sulla stampa. Scritto dal punto di vista dell’economista, lo possiamo parafrasare dal punto di vista del cittadino: “l’Italia sembra [ancora] possedere le istituzioni politiche necessarie per opporsi a svalutazioni interne… Questo tipo di svalutazioni interne, [infatti], sono molto dolorose e incontrano forti resistenze, avendo peraltro il solo fine di rimanere in un’unione monetaria… L’italia, [invece], non funziona bene in un’unione monetaria. Le sue istituzioni politiche la rendono inadatta all’Eurozona. Se queste istituzioni politiche non saranno smantellate radicalmente, l’Italia si troverà come costretta a lasciare la moneta unica: non può rimanere ferma a guardare il suo tessuto economico… deteriorarsi…”.

Capito il perché del referendum del 4 dicembre?

 

TAG: Euro, Fiscal Compact, Giuliano Amato, Pareggio di bilancio
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