Ci sono molteplici modalità di rapporti tra gli esseri umani, che tendono a confrontarsi, misurarsi, prevalere gli uni sugli altri, in forza di idee, suggestioni, visioni del mondo, ma anche di interessi materiali ad appetite proiezioni personali. È una dialettica naturale, che, sul terreno della politica, diventa spesso aspra e porta a conflitti di corposa entità, ma tutto ciò avviene, nella generalità dei casi, in maniera fisiologica, senza precipitare nel parossismo della patologia.
Per anni la guerra fra bande ha segnato la vita del PD, ha elargito materiale prezioso a narratori, retroscenisti e cultori del pettegolezzo e condizionato la stabilità di alcuni governi, ma non si è mai spinta al punto di mettere in discussione l’esistenza stessa del partito.
Adesso, sotto gli occhi attoniti, e quasi increduli, del Paese, si è aperta una stagione dell’odio, che, travolgendo ogni tabù, ha rapidamente trasformato gli avversari interni in nemici da abbattere a qualsiasi costo.
Le parole insieme ed unità vengono usate come randelli e servono a proporre frammentazioni e creazioni di soggetti politici alternativi, in una ridda infernale nella quale si va a caccia di voti sventolando veti, si propugnano i campi larghi, per poi trincerarsi nei fortini. Il PD continua a governare l’Italia, in questo scorcio di legislatura, ma non ha più una vera maggioranza e la sua leadership è al centro di un attacco senza precedenti, ispirato da una parte significativa della vecchia classe dirigente, che vuole, dichiaratamente, estirparla dalla scena politica. Questa situazione non ha precedenti e se ne può uscire soltanto ridando la parola agli elettori e confidando che riescano ad aprire una stagione meno tossica di questa.