La reazione furiosa di Alfano al patto tra i maggiori partiti, che hanno manifestato la volontà di introdurre uno sbarramento del 5% nell’impianto di una legge elettorale di stampo proporzionale, è stata la classica tempesta in un bicchiere d’acqua, un inconsulto
gesto di stizza. L’accordo è andato in frantumi al primo tornante di una lunghissima salita, com’era facilmente prevedibile, in considerazione dell’eterogeneità dei fini perseguiti dai contraenti, ma rimane nell’aria il frastuono sgradevole di una baruffa scomposta e di basso livello.
La scelta operata dai moderati eletti in FI di assicurare comunque la governabilità del Paese, in dissenso con la linea di Berlusconi, risale ai tempi del governo Letta ed ha consentito a Renzi una lunga stagione di stabilità ed il varo d’importanti riforme, ma sacrificarne platealmente la portata ad una contingente preoccupazione di sopravvivenza non appare la risposta migliore al torto subito. Quale potrebbe essere l’approdo della piccola e frastagliata compagine centrista, che si proclama oggi non solo distinta, ma anche distante dal PD di Renzi?
A destra campeggiano lo smisurato disprezzo di Salvini e Meloni e lo scostante risentimento dei berlusconiani, a sinistra la sdegnosa ripulsa di quanti hanno vissuto come una tragedia la contaminazione a livello di governo e di maggioranza con i cattolici bigotti e conservatori.
Spesso in politica si incassano colpi sotto la cintura, che fanno male e annientano certezze, ma tirare un respiro profondo e fare mente locale al contesto, senza cedere all’impulso dell’ ira funesta, può servire a non disperdere quanto costruito con pazienza certosina nel corso degli anni.