Volete entrare nel vortice dell’odio social? Scrivete “sciopero” e poi scappate. State sicuri di ritrovare, ore dopo, una valanga di interazioni a dir poco colorite contro i lavoratori che stanno esercitando un loro diritto.
Magari avevate avuto la carineria di allegare le motivazioni della protesta, accompagnate dalle dichiarazioni di chi prova a ribaltare il tavolo (o togliersi il giogo).
Niente, il risultato non cambia, i commenti saranno: lo fanno per allungare il fine settimana, si lamentano di un lavoro senza pensare a chi non lo trova. Arriva anche il politicuccio di turno che la definisce una campagnuccia dei sindacati, richiamando l’uso del piccione viaggiatore.
I più accorti, si preoccuperanno che la multinazionale di turno (prendiamone una a caso, Amazon), stanca delle proteste, potrebbe scegliere altri mercati e delocalizzare.
Non sempre lo sciopero è stato utilizzato nella maniera migliore, prendiamone atto; ed è anche vero che i sindacati ne hanno fatto un’arma spuntata. Ma ci sono situazioni in cui solo un disagio come l’interruzione della catena produttiva può rimettere in discussione le condizioni lavorative. Invitiamo alla lettura di questo articolo per capire di cosa stiamo parlando https://it.businessinsider.com/due-dipendenti-amazon-raccontano-linferno-del-centro-di-smistamento-di-piacenza
Quello che più ci preme sottolineare è la totale mancanza di empatia umana e l’incapacità di solidarizzare con delle persone che stanno subendo un sopruso. Si guarda al rendimento, al proprio interesse e comodo, alla produttività, al mercato, al capitale. Non si considera più l’uomo che dovrebbe lavorare per vivere e non viceversa. Non ci si indigna di fronte ad un basso salario, a turni estenuanti, al grande fratello che controlla, alla necessità di cure antidepressive per mantenere il ritmo. Lo si fa perché il servizio potrebbe ritardare la consegna dell’oggetto ordinato, senza il quale la vita non avrebbe senso (ma davvero?!)
Non si considera che ci sono persone che non possono dire di no a quel lavoro aberrante e, proprio per questo, possono essere trattate come bestie. Ci si preoccupa che la Cina invada il mercato ma non che venga applicato il suo modello lavorativo. Macchine e non uomini.
Dovremmo, al contrario, solidarizzare con questi lavoratori, capire che la loro lotta è contro un modello di dequalificazione della vita. Nascere, lavorare, correre e crepare male. Senza tregua e senza neanche profitto. Beh, se questo è il futuro che auspichiamo per i nostri figli, abbiamo davvero un bel problema.